Un volo…quasi storico Oggi, un giovane che si sforzi di guardare un po’ il cielo, sogna di volare su di un F 18, di emulare il “Maverick” dei TOP GUN…Se poi ama l’aeronautica italiana, penserà al “104”, al “ Tornado, al Typhoon. Per me, e per tutti quelli dei profondi “anta”, l’aereo per eccellenza è il C 47, indiscusso re dei cieli di innumerevoli film di guerra. Costruito a partire dalla metà degli anni ’30, fino alla fine degli anni ’40, chiamato dagli americani “Skytrain”, “Dakota” dagli inglesi, è stato il simbolo dell’aereo da trasporto per eccellenza. Lo sbarco aereo in Normandia, il “Ponte Aereo” per Berlino, le missioni in Antartide, in Birmania, in Bolivia contro il narco traffico, in Vietnam come cannoniera volante, lasciano nei nostri ricordi immagini incancellabili. Realizzato in oltre 12 mila esemplari, ha portato le coccarde di innumerevoli Forze Aeree e ancora oggi qualcuno vola, molti altri fanno da gate guardian in basi aerei, altri sono nei Musei aeronautici di tutto il mondo. Anche la nostra Aeronautica Militare ne ha adoperati numerosi esemplari, con svariati compiti, alcuni conosciutissimi, altri un po’ meno in quanto utilizzato dai Servizi Segreti per spionaggio elettronico ed altro. Un aereo mitico, dunque e la notizia del suo prossimo ritiro non poteva non spingermi a chiedere un volo su questo velivolo, vista anche la frequenza con cui era presente a Capodichino nella versione “Radiomisure”. Procedura burocratica velocissima ed una bella mattina di primavera mi ritrovo sulle “grelle” della piazzola antistante il vecchio Comando di Aeroporto di Capodichino, pronto ad imbarcarmi su di un C 47 nella sgargiante colorazione ad alta visibilità dei mezzi del 14° Stormo Radiomisure. Salito a bordo…è stato come essere a casa, tanto numerosi erano i film che avevo visto e che lo vedevano come protagonista. L’assetto “seduto” sul ruotino di coda mi spinge ad avanzare in salita, verso il mio posto. Mi assicuro al seggiolino e la fumata seguita dal rombo del primo motore che parte, quello di sinistra, mi coglie di sorpresa. Parte anche il secondo, le vibrazioni diminuiscono ed immagino il Comandate, che intravedo a prua, in cabina, impegnato nei controlli di routine. Qualche minuto di riscaldamento e ci avviamo sulla pista di rullaggio che ci porterà al punto attesa della pista “24” di Capodichino. Dopo l’atterraggio di un C 5 Galaxy dell’USAF, al cui confronto ci sentiamo veramente piccoli, attendiamo che diminuisca la turbolenza del “gigante”, entriamo in pista e viene dato pieno motore. Gran lavoro di pedaliera, ma dopo una cinquantina di metri il ruotino posteriore comincia a perdere l’aderenza con la pista, la coda si solleva, e, aiutati dai generosi flap, decolliamo. Virata a destra e ci dirigiamo, ad un quota di 2000 feet, verso la zona operativa, Grazzanise, dove controlleremo le radioassistenze, con l’ausilio di specialisti che sono a terra armati di teodoliti. Il loro compito sarà controllare e confrontare i segnali di riferimento del velivolo nello spazio con il segnale della radioassistenza in esame. Arriviamo allineati con il centro della pista con un lunghissimo finale “06”, fino alla testata. L’aereo percorre tutta la pista a circa una decina di metri di quota, poi riattacca i motori e ripeterà la procedura molte volte. A bordo sono tutti impegnati in controlli e calibrazioni e cerco di seguire le loro azioni decisamente “criptiche” per un non addetto ai lavori. Cerco di non disturbarli, non senza, tuttavia, scattare qualche foto. Terminato il lavoro su Grazzanise, ci dirigiamo nuovamente a Capodichino, e da Pomigliano d’Arco saranno effettuati controlli di approccio alla pista “24”. Il rombo dei Pratt&Whitney è “rotondo”, ciclico, per niente assordante, il volo è stabile, con poche vibrazioni, e ci sentiamo ben “sostenuti” (e rassicurati…) dalla generosa ala. Il Comandante avverte che effettueremo l’atterraggio e che è meglio raggiungere il seggiolino assegnato. Dopo oltre due ore di volo, si riduce motore e quasi frusciando il velivolo tocca terra con carrello principale e si “siede” senza sobbalzi sul ruotino. Percorriamo l’intera pista per uscire all’ultimo raccordo per riportarci in piazzola: un ultimo colpo di gas e si provvede allo spegnimento dei motori. Qualche mese dopo il velivolo terminava il suo servizio; finiva così un’altra era storica della nostra Aeronautica Militare. |
Le note che seguono potevano benissimo essere il preambolo di questo “racconto” ma preferisco lasciarle alla fine, chiudendo con qualche notizia sul servizio radiomisure. Compito delle radiomisure è quello di assicurare la gestione tecnica degli aeroporti, dei sistemi dei radar di rotta, di quelli di sorveglianza, quelli di avvicinamento, i Centri di Telecomunicazione remoti ed aeroportuali, i Sistemi di navigazione ILS,VOR,DME. Per oltre 30 anni tutto ciò è stato compito del reparto radiomisure dell’AM. In seguito è passato al 14° Stormo con base a Pratica di Mare. Nel 1973 comincia ad operare anche con velivoli civili: l’ATI (Aerotrasporti Italiani) appronta tre F.27 della sua Flotta e, con personale misto civile e militare, opera fino al 1984. Nello stesso periodo, entrato in linea il G 222, se ne realizza una versione radiomisure, la “RM”. Con questo velivolo, per la prima volta, diventa superflua la presenta del ”team” di terra: un computer accoppiato ad un navigatore inerziale provvederà, in volo, a rendere non necessario un traguardo esterno. Dopo il 1984, dopo un breve periodo di controlli assicurati dai “Citation” di una compagnia civile, il servizio mette nuovamente le “stellette” e rientra in AM. Entrano in servizio anche alcuni PD 808 affiancati dal G 222RM. Oggi, con la recentissima entrata in servizio del P 180 Avanti II, l’Aeronautica Militare assicura il controllo dell’intera gamma di radiomisure previste dall’ICAO, dalla NATO e dall’Aeronautica Militare stessa. |
Foto di Carlo A.G. Tripodi, Aldo Ciarini e Chris Chennel
Testo di Carlo A.G. Tripodi
Prodotto da Giorgio Ciarini
1982
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English translation by Frank McMeiken
A flight....almost historic Images by Carlo A.G. Tripodi, Aldo Ciarini e Chris Chennel
Text by Carlo A.G. Tripodi
1982
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